Venezia (giovedì, 23 ottobre 2025) – Alla Fenice non si suona più all’unisono. Dopo un mese di tensioni, proteste e silenzi imbarazzati, la celebre istituzione veneziana si trova ora nel pieno di una crisi senza precedenti. A una settimana dallo sciopero che ha fatto saltare le prove e acceso i riflettori sul “caso Venezi”, i lavoratori del Teatro La Fenice chiedono ufficialmente le dimissioni del sovrintendente Nicola Colabianchi.
di Maria Laura Melis
L’origine del dissidio: la nomina di Beatrice Venezi
Il motivo? “Rapporto di fiducia rotto in modo irreparabile”. Così scrivono le rappresentanze sindacali di Cgil, Cisl, Uil e Fials, che parlano a nome della totalità dei dipendenti. È un atto simbolico, certo, non hanno il potere di sfiduciare il sovrintendente, ma il segnale politico e umano è forte: la Fenice, dicono, non si riconosce più nella sua guida.
Tutto è cominciato con la nomina di Beatrice Venezi a direttrice musicale, avvenuta un mese fa “contro il parere dell’orchestra”. La decisione di Colabianchi è stata giudicata dai lavoratori “opaca e unilaterale”, priva di quel processo di ascolto e confronto che in un teatro d’opera, luogo di equilibri delicati e di orgogli antichi, è vitale quanto una buona acustica.
Da allora, dicono i sindacati, “nessun dialogo reale”. Solo un incontro, convocato non dal sovrintendente ma dal sindaco Luigi Brugnaro, presidente della Fondazione. Troppo poco per ricucire uno strappo che ora appare insanabile.
“Incompatibile con i valori della Fenice”
Nel comunicato diffuso dopo l’assemblea di martedì 23 ottobre, il giudizio è durissimo: “La direzione intrapresa dal sovrintendente Colabianchi è incompatibile con i valori, la storia e il prestigio di questo teatro.”
Un attacco frontale, che va oltre la questione gestionale: qui si parla di identità. La Fenice, simbolo di rinascita, memoria e bellezza italiana, non può, secondo i lavoratori, essere guidata “senza rispetto, senza ascolto e senza visione”.
Un teatro in trincea
Dietro le parole, c’è una comunità ferita. Gli orchestrali e il personale tecnico non chiedono solo un cambio di nomi, ma un cambio di rotta. E lasciano intendere che la mobilitazione non è finita: se non arriveranno risposte, potrebbero tornare scioperi e manifestazioni.
Colabianchi, dal canto suo, gode ancora della fiducia del Ministero della Cultura, e difficilmente lascerà l’incarico. Ma la sua posizione, dopo questo comunicato, è politicamente complicata.
Nemmeno durante la turbolenta stagione 2024, quando tre scioperi avevano segnato la fine dell’era Ortombina, si era arrivati a una richiesta di dimissioni così esplicita. Stavolta sì.
Last modified: Ottobre 23, 2025


